"I monumenti dei Dogi": sepolcri

"I monumenti dei Dogi. Sei secoli di scultura a Venezia",  Marsilio Editori, 2020.

Fotografie di Matteo De Fina, introduzione di Marino Zorzi, testi di Sebastiano Pedrocco, Toto Bergamo Rossi


Pasquale Malipiero (Dogado: 1457-1462)

ESTRATTO BIOGRAFICO

Il primo incarico ufficiale che dovette assumere, dopo essere stato eletto doge, fu accompagnare il feretro di Francesco Foscari, mostrandosi al popolo in semplice veste senatoria.
Per alcuni studiosi si pose in contrapposizione alla considerevole figura che lo precedette, per altri invece ne rappresentò la logica conseguenza; certamente il quadro politico territoriale uscito dalla pace di Lodi portò in modo quasi naturale a una politica di mantenimento e di consolidamento piuttosto che a un’ulteriore spinta espansiva.
Il cartiglio che il doge tiene in mano nel ritratto nella sala del Maggior Consiglio recita: «Me duce pax patriae data sunt et tempora fausta» (Essendo io doge, la patria ebbe pace e tempi di prosperità). Definito da Marin Sanudo «Dux pacificus», mantenne questa posizione anche quando Pio II nel 1459 al convegno di Mantova chiese a Venezia di partecipare a una crociata contro i turchi, alla quale peraltro non aderì nessun governo, se non a parole.  [...]
Il doge Malipiero non lasciò testamento, ma gli eredi  commissionarono a Pietro Lombardo e alla sua bottega la costruzione del monumento funebre sulla parete della navata
sinistra vicino alla porta della sacrestia nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo, a circa quattro metri da terra.

MONUMENTO

I lavori iniziarono nel 1463 e si conclusero molti anni dopo, probabilmente nel 1475. Il materiale impiegato, ovvero la pietra d’Istria – più economica e meno pregiata del marmo bianco di Carrara –, e la lunga durata dell’esecuzione dei lavori denunciano una possibile difficile situazione economica degli eredi Malipiero. Anche l’effige del doge si presenta sommariamente rifinita: parte del volto è solamente abbozzato così come una mano e un piede. L’assenza di dorature e di tracce di policromia potrebbe confermare questa ipotesi.
Tre imponenti mensole classicheggianti sorreggono una grande lastra su cui poggiano i due pilastri e i grifoni che portano l’arca con l’effige. Sul fronte dell’arca, entro una corona d’alloro scolpita ad altorilievo, si trovava probabilmente l’epitaffio, ora non più leggibile. Sotto il sarcofago tra i grifoni è collocata una conchiglia con le
ali, che simboleggia la Resurrezione
[...]. Il fondale della nicchia è scandito da quattro lastre ornate con girali augustei in rilievo [...].
Sopra l’architrave, nella lunetta, è raffigurato Cristo Passo
sorretto da due angeli
[...]. Sull’arco a tutto sesto, sopra rosette, campeggiano tre virtù: al centro la Giustizia, che simboleggia anche Venezia, e ai lati la Carità e la Fede.

Andrea Vendramin (Dogado: 1476 -1478)

ESTRATTO BIOGRAFICO

Si racconta che Andrea in gioventù abbia posato per il Pisanello, forse proprio per il suo aspetto gradevole. La sua elezione fu oggetto di critiche da parte del vecchio patriziato perché Vendramin apparteneva a una delle famiglie entrate in Maggior Consiglio soltanto nel 1381, ai tempi della guerra di Chioggia.
Aveva comunque accumulato cariche importanti, tenendo però sempre vivo lo spirito del commerciante, affinato in gioventù assieme al fratello ad Alessandria d’Egitto.
Seppe farsi apprezzare dal popolo grazie alla generosità e alla sensibilità dimostrate in diverse occasioni: si distinse infatti per elargizioni di denaro, pagamento di cauzioni a detenuti incarcerati per debiti, copertura delle spese per le doti di fanciulle altrimenti
destinate al convento. [...]Durante gli anni del suo dogado continuava la guerra con i turchi [...].
Il testamento del doge Vendramin risaliva a ben quattro anni prima della sua elezione e dava precise indicazioni in merito alla costruzione di un grandioso monumento funebre da erigersi nella chiesa prediletta dalla famiglia, Santa Maria dei Servi, quasi
totalmente demolita tra il 1813 e il 1814.
Alcuni disegni conservati al Musée du Louvre di Parigi e al Victoria and Albert Museum di Londra documentano una possibile assegnazione di un primo progetto ad Andrea del Verrocchio, che nel 1486 lavorava a Venezia per la realizzazione del modello in cera per il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni. La morte di Verrocchio, avvenuta nel 1488, potrebbe giustificare l’incarico a Tullio Lombardo per l’esecuzione del cenotafio Vendramin che, salvato dalle demolizioni napoleoniche, fu ricomposto nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo per iniziativa di Nicolò Vendramin Calergi, discendente del doge.

MONUMENTO

[...] L’architettura del monumento riprende quella degli archi di
trionfo romani:
sopra una base composta da tre gradini e zoccolo decorato a bassorilievo in pietra d’Istria, s’innalza il monumento tripartito, interamente edificato in marmo bianco di Carrara e dorato sulle parti ornamentali e sulle vesti del doge.
La parte centrale è aggettante rispetto alle ali laterali e le imponenti colonne di ordine composito sorreggono una ricca trabeazione sulla quale s’innalza l’arco a tutto sesto, il cui profondo sottarco è decorato con cassettoni all’antica. Al centro dell’ampio zoccolo sulla lapide classicheggiante, è inciso l’epitaffio sorretto da due figure alate.
Il feretro sopra il cassone è sorretto da due aquile, ancora  parzialmente dorate, e da un tondo in porfido con ali. L’elegante effige del doge Vendramin, ritratto in abiti dogali, è vegliata da tre paggi ceroferari [...].
Le nicchie in marmo nero che ospitano i guerrieri sono sovrastate da due tondi con rilievi a soggetto mitologico: a destra, Perseo a cavallo con la testa di Medusa, a sinistra, il Ratto di Deianira.
Sopra la ricca trabeazione finemente scolpita e dorata, ai lati dell’arco, entro nicchie rettangolari decorate con lastre di marmo pavonazzetto, si trovano le sculture inginocchiate dell’arcangelo Gabriele, a sinistra, e della Vergine annunciata, a destra. Sulle vele dell’arco sono visibili due medaglioni con profili di imperatori romani con corone di alloro. Dentro l’arco, sulla lunetta scolpita ad altorilievo, si ammira la tipica rappresentazione riscontrabile in molti monumenti funebri dogali: il doge in ginocchio presentato da san Marco alla Vergine in trono col Bambino, con alla destra
san Todaro e un giovane orante, la cui identità è sconosciuta. Sulla sommità del monumento, due figure femminili simili a sirene alate, sorreggono un tondo raffigurante il Bambino benedicente. 

Francesco Venier (Dogado: 1554-1556)

ESTRATTO BIOGRAFICO

Nipote del doge Leonardo Loredan per parte di madre, uomo colto, tentò più volte, invano, di ottenere la dignità procuratoria; fu eletto doge dopo un dibattuto conclave al ventisettesimo scrutinio.
Non era anziano, ma debole e malato; le fonti narrano che avesse bisogno dell’aiuto di due persone per camminare. Nei due anni del suo dogado si ricorda la sfarzosa accoglienza riservata a Bona Sforza, vedova di re Sigismondo di Polonia. Visse assieme
al fratello Pietro.

Nel suo primo testamento redatto nel 1550, ovvero prima della nomina dogale, Francesco Venier diede disposizioni per essere sepolto nella chiesa di San Francesco della Vigna, all’epoca in fase di riedificazione a opera di Jacopo Sansovino. Dopo essere stato eletto doge, espresse la volontà di erigere il proprio monumento funebre nella chiesa di San Salvador, da pochi anni riedificata su progetto di Giorgio Spavento e poi ultimata da Tullio Lombardo. Di antichissima fondazione, l’imponente edificio si trova nell’asse principale che connette Rialto con piazza San Marco. Il doge decise di essere sepolto in questo edificio, per la centralità del luogo e la maestosità del tempio da poco eretto.
Lasciò inoltre precise indicazioni in merito alla sua sepoltura a terra, nella tomba costruita per lui e i suoi discendenti davanti al suo monumento funebre e non nel sacello marmoreo sopra il cassone.

MONUMENTO

Durante la metà del XVI secolo Jacopo Tatti detto il Sansovino era l’archistar della Repubblica di Venezia. [...] Non a caso il doge Venier commissionò l’esecuzione del proprio cenotafio a
Sansovino, che ne ultimò l’edificazione verso la fine del 1561.
[...] Il monumento è tripartito e intervallato da quattro colonne con capitelli di ordine composito che reggono una trabeazione pulvinata che dà origine all’attico, sul quale si apre l’arco centrale con lunetta scolpita, sovrastato da una seconda trabeazione con timpano. A differenza del monumento Gritti, Sansovino utilizzò per la tomba
Venier numerosi marmi antichi policromi di recupero [...  ]. I profili delle architetture, gli abiti del doge e il cassone con l’epitaffio sono dorati. [...] L’effige del doge e la lunetta raffigurante la Pietà tra san Francesco e il doge in ginocchio sono state scolpite da Alessandro Vittoria.
Finora non è stato rinvenuto alcun documento che confermi la paternità del cenotafio Venier a Jacopo Sansovino, tuttavia, considerato il suo incarico di proto, cioè primo architetto della Serenissima, è ipotizzabile l’esecuzione dell’intero progetto e non solo la sua collaborazione per la realizzazione delle sculture della Speranza e della Carità, entrambe firmate sul fronte della base.

Ultimo aggiornamento: 20-12-2023