"I monumenti dei Dogi": sepolcri, particolari

"I monumenti dei Dogi. Sei secoli di scultura a Venezia",  Marsilio Editori, 2020.

Fotografie di Matteo De Fina, introduzione di Marino Zorzi, testi di Sebastiano Pedrocco, Toto Bergamo Rossi


Giovanni Dolfin (Dogado: 1356-1361)

ESTRATTO BIOGRAFICO

Ricevette la notizia della nomina al trono dogale mentre si trovava a Treviso, impegnato a contrastare l’assedio degli ungheresi, e si aprì un varco tra le fila nemiche brandendo l’insegna di san Marco spiegata, accompagnato da cento cavalieri e duecento fanti.
Proprio a Treviso aveva perso per una malattia l’uso di un occhio, che era solito coprirsi con una pezza di seta.
Stimato per le sue doti militari e diplomatiche, non riuscì però a resistere alla lega condotta dal potente re d’Ungheria, Luigi il Grande, cui aderivano il duca d’Austria, il patriarca di Aquileia e il signore di Padova, Francesco da Carrara, e dovette stipulare la pace di Zara, che sanciva la perdita dell’intera Dalmazia. Il doge dovette rinunciare quindi al titolo di duca di Dalmazia e Croazia, ma la città conservò invece il dominio di Treviso. La Repubblica non perdonò mai il tradimento dell’ambizioso Francesco da Carrara, che era stato insediato con l’appoggio veneziano, e pose ogni ostacolo alle sue mire espansionistiche.
Le esequie ducali, per cui fino ad allora non esistevano norme speciali, rientrarono per la prima volta con Dolfin in una fastosa cornice celebrativa, trasformandosi in un complesso atto cerimoniale.
Il monumento funebre al doge Giovanni Dolfin sorgeva secondo le sue volontà testamentarie nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo, collocato sulla parete alla sinistra dell’altare maggiore.  È il primo caso di sepoltura dogale presente all’interno della cappella maggiore di una chiesa. 

IL MONUMENTO

In sostituzione all’arcosolio lapideo, [...] l’arca Dolfin era contornata
da un affresco eseguito da Guariento di Arpo.  [...] Nel 1815, il sarcofago in marmo di Carrara fu rimosso dalla collocazione originaria per lasciare spazio all’installazione del monumento al doge Andrea Vendramin proveniente dalla chiesa dei Servi, parzialmente demolita proprio in quegli anni.
L’arca Dolfin, collocata sulla parete sinistra della cappella Cavalli, riprende lo schema  compositivo utilizzato per il fronte del sarcofago di Andrea Dandolo [...]: nelle due edicole laterali sono raffigurati, a sinistra, la Vergine annunciata e, a destra, l’arcangelo Gabriele, mentre al centro è scolpito in altorilievo Cristo in trono, tra due angeli che aprono le tende del baldacchino.  Ai piedi del trono, raffigurati in proporzioni molto ridotte,
si trovano il doge e la dogaressa Caterina Giustinian adoranti.
I due pannelli sempre scolpiti ad alto rilievo narrano l’Adorazione dei Magi e la Dormizione della Vergine. Il fregio del coperchio del sarcofago è finemente scolpito.  L’arca è sorretta da due mensole decorate con motivi a foglie grasse dorate mentre, sul fronte, compaiono gli
stemmi della famiglia Dolfin con i tre delfini dorati su fondo blu.  Lo stemma Dolfin è
visibile inoltre sulla lastra tombale in marmo rosso di Verona, che si trova ancora nella
posizione originaria in parte coperta dai gradini del monumento Vendramin.

Antonio Venier (Dogado 1382-1400)

ESTRATTO BIOGRAFICO

Fu bailo, ovvero governatore, dell’isola di Tenedo nel mar Egeo e la difese valorosamente
da un attacco genovese.  Nel 1381 fu eletto capitano a Candia dove ricevette la notizia inaspettata della nomina.  Non aveva un curriculum particolarmente prestigioso, fatta eccezione per l’impresa di Tenedo, ma rappresentò il compromesso tra nomi di peso che, nel delicato gioco di equilibri, non riuscivano a raggiungere il quorum.  Fatto di notevole rilievo, la sua famiglia non apparteneva al gruppo delle case “vecchie” che aveva fino ad allora dominato il governo, ma era una casa “nuova”.  In patria dovette occuparsi dei gravi problemi derivanti dalla guerra di Chioggia, ma al contempo riuscì a estendere i domini della Repubblica: in Levante acquisì Nauplia, Argo in Morea, Scutari, Durazzo e riprese Corfù; sfruttando un’astuta politica di alleanze con Giangaleazzo Visconti, dapprima alleato dei Carraresi e poi loro nemico, riacquistò Treviso, Conegliano e Ceneda; si inserì inoltre nelle lotte intestine di Ferrara proteggendo il minorenne Nicolò d’Este e concedendo un prestito di
cinquantamila ducati in cambio del Polesine e di Rovigo in pegno.
Si dimostrò inflessibile nei confronti del figlio Alvise, libertino e reo di aver offeso una  famiglia patrizia, e per questo condannato al carcere dei pozzi, dove morì dopo
essersi ammalato.
Il monumento funebre del doge Venier fu eretto secondo le sue volontà, sulla parete sinistra del transetto della basilica dei Santi Giovanni e Paolo.  La dogaressa Agnese da Mosto, sua esecutrice testamentaria, insieme al figlio Nicolò, seguì la costruzione del complesso
scultoreo, al quale lavorarono artisti locali nell’ambito della bottega dei Dalle Masegne.

IL MONUMENTO

In questo monumento sono state sommate e interpretate alcune delle novità stilistiche proposte pochi anni prima nelle tombe dei dogi Dolfin, Corner e Morosini, tutte collocate sulle pareti della vicina cappella maggiore della basilica domenicana.  Sul fronte e ai lati del
cassone, sono introdotte per la prima volta a Venezia le figure intere delle sette virtù cardinali e teologali – non più a mezzo busto come per il sarcofago del doge Morosini
–, inserite entro nicchie finemente scolpite con volta a conchiglia.
I panneggi morbidi e le pose elegantemente scolpite evidenziano una migliore qualità di esecuzione rispetto alle più grandi sculture collocate ai lati e sopra l’effige del doge [...].
L’effige del doge non si discosta da quelle dei suoi predecessori.  Nel 1585 l’intero monumento fu smontato e ricomposto in occasione dei lavori di costruzione della cappella del Rosario.  La lapide con l’iscrizione e i due stemmi con le armi dei Venier furono rifatti.
Il sarcofago fu collocato sopra il cornicione del nuovo portale d’ingresso della cappella e l’architettura dell’ancona lapidea con le cinque grandi nicchie fu distrutta.
Le statue non furono più allineate tra di loro, come in origine; quelle raffiguranti sant’Antonio abate e san Domenico si trovano ora ai lati della cassa, mentre la Madonna col Bambino, san Pietro e san Paolo sono sorretti da mensole sulla muratura soprastante l’effige del doge.
Purtroppo, considerata l’altezza della collocazione attuale del monumento, non è più
possibile apprezzare l’alta qualità dell’apparato scultoreo.

Pietro Mocenigo (1474-1476)

ESTRATTO BIOGRAFICO

Nacque nel 1405 da Leonardo, procuratore di San Marco, fratello del doge Tommaso Mocenigo.  Dopo una giovinezza trascorsa nel commercio, intraprese la carriera navale, divenendo nel 1442 sopracomito di galera, alternando il comando sul mare a incarichi politici e, nel 1470, dopo la disfatta veneziana di Negroponte (Eubea), fu eletto capitano generale da Mar; l’anno dopo si limitò a devastazioni e saccheggi della costa dell’Asia Minore. Nel 1472, ricevuti rinforzi e raggiunto da una flotta pontificia, conquistò alcuni luoghi costieri nella Caramania, restituendoli al sovrano della zona, parente del sultano di Persia Uzun Hasan, alleato della Repubblica, attaccò Satalia (Adalia) e prese Smirne, distruggendola.
Nel 1473 sarebbe stato forse possibile, anche se certo non facile, un attacco a Costantinopoli,
essendo Maometto II impegnato in Oriente a combattere Uzun Hasan, ma la situazione creatasi a Cipro costrinse la Repubblica a inviare lì Mocenigo, dove era morto il re Giacomo II di Lusignano e la posizione della vedova, la veneziana Caterina Corner, era in grave pericolo.  I partigiani di Carlotta, sorellastra del defunto re, si erano impadroniti del potere a corte; il papa Sisto IV e il re di Napoli li sostenevano. Mocenigo sbarcò sull’isola il 24 agosto 1473 e ristabilì la preminenza veneziana, ma poco dopo la sua partenza una congiura uccideva Andrea Corner, zio della regina, e un parente, Marco Bembo.  Nel febbraio 1474 Mocenigo inviava da Modone a Cipro una nuova squadra e il dominio veneziano era definitivamente ristabilito, mentre il resto della flotta incrociava sotto il comando del capitano generale sulle coste dell’Albania, offrendo ogni possibile assistenza ad Antonio Loredan nell’eroica difesa di Scutari. Qui Pietro ricevette la notizia della sua elezione; durante il suo breve governo si intavolarono
trattative di pace con i turchi, senza tuttavia giungere a un accordo. 
ntanto Maometto II conquistava le ultime basi commerciali occidentali sul Mar Nero: Caffa (genovese) nel giugno 1475 e poco dopo la veneziana Tana.
La costruzione del monumento iniziò nel 1476,  anno della morte del doge, che non
lasciò nessuna disposizione testamentaria in merito alla sua sepoltura; il cenotafio fu commissionato dai fratelli, che ne richiesero l’edificazione sul lato sinistro della controfacciata della basilica dei Santi Giovanni e Paolo, sostenuti dalle fortune accumulate
dal doge Mocenigo durante le sue numerose conquiste, come descritto nell’epitaffio
sul cassone alla base del monumento, dove è menzionato come doge anche uno dei
due fratelli di Pietro, Giovanni, eletto nel 1478.

IL MONUMENTO

[...] Il monumento al doge Pietro fu inglobato all’interno dell’arcone e alzato in modo tale da poggiare sul nuovo, fin troppo imponente,  zoccolo in pietra d’Istria della recente architettura seicentesca. L’attuale collocazione trasformò la linea visiva voluta da Pietro Lombardo, il quale [...] introdusse nel cenotafio Mocenigo le figure delle tre età dell’uomo, nell’atto di sorreggere il cassone all’interno del grande arco centrale.
La composizione iconografica del monumento celebra il doge come capitano generale da Mar della Serenissima, ritratto per la prima volta in piedi sul sarcofago mentre regge il vessillo con la mano destra e indossa l’armatura visibile sotto gli abiti dogali, dipinti e dorati
con elaborati motivi damascati dell’epoca.  Anche il sarcofago costituisce una novità in laguna: al posto della rappresentazione di episodi religiosi fanno la loro apparizione due rilievi che narrano alcune delle gloriose gesta di Pietro Mocenigo.  Ai lati del doge, due eleganti paggi reggono lo scudo con le insegne bianche e blu dei Mocenigo e il bastone di comando del capitano. Sulle ali del monumento si sovrappongono tre ordini di
nicchie[...] entro le sei nicchie sono collocate statue di guerrieri, eseguite dalla bottega di Pietro Lombardo.  Sulle vele dell’arcone sono scolpiti due stemmi dei Mocenigo, policromi
e con nastri dorati. Sopra il cornicione, ai lati dell’attico, si trovavano le sculture dei
santi patroni della città, san Marco e san Todaro, rimossi per mancanza di spazio
dopo l’innalzamento dell’arcone seicentesco e ricollocati nelle nicchie dell’adiacente
monumento ad Alvise I Mocenigo.  [...] Sul fronte dell’attico è scolpito
un rilievo con le tre Marie alla tomba di Cristo, una chiara allusione alla scultura posta
sull’arco abbassato soprastante, dove sono collocati lateralmente due angeli, sopra
rosette. L’intero monumento è in marmo di Cararra e squisitamente scolpito in tutti i
suoi dettagli architettonici e ornamentali all’antica. La base su cui poggia il monumento è costituita dall’epitaffio centrale, unico elemento in pietra d’Istria, delimitato da due pannelli raffiguranti trionfi d’armi mentre, alle estremità sottostanti le ali lateralin sono scolpiti due rilievi con episodi delle fatiche di Ercole, che chiaramente alludono alle valorose imprese
del doge. Questi ultimi rilievi sono stati attribuiti ai giovani figli di Pietro, Antonio e Tullio Lombardo.

Ultimo aggiornamento: 20-12-2023