"I monumenti dei Dogi": scultura

"I monumenti dei Dogi. Sei secoli di scultura a Venezia",  Marsilio Editori, 2020.

Fotografie di Matteo De Fina, introduzione di Marino Zorzi, testi di Sebastiano Pedrocco, Toto Bergamo Rossi


Domenico Michiel (Dogado: 1118 -1130)

ESTRATTO BIOGRAFICO

L'epitaffio del sepolcro descrive le principali imprese della sua carriera: «Terrore dei Greci, lode di Venezia, eroico conquistatore di Tiro, autore di rovina della Siria e di pianto per l’Ungheria».
Impegnato dal 1123 in Terrasanta, dove era stato chiamato da Baldovino II in difficoltà con i saraceni, lasciò il governo al figlio Leachim e a un omonimo Domenico Michiel, nonostante le norme contro il  nepotismo lo vietassero. Dapprima fu protagonista di uno scontro con una squadra navale egiziana presso il porto di Ascalona,
poi, dopo un assedio di cinque mesi, prese Tiro assieme alle truppe di Guglielmo di Bures. I dischetti nello stemma dei Michiel ricordano l’aneddoto secondo il quale le fedeli truppe avrebbero accettato di farsi pagare con monete di cuoio, impegnandosi a convertirle in denaro una volta tornate a Venezia.
Dovette quindi affrontare il problema dei rapporti con l’imperatore d’Oriente Giovanni II Comneno, che aveva revocato i vantaggi fiscali concessi ai veneziani da Alessio nel 1082. Non avendo ricevuto soddisfazione, saccheggiò Rodi, Chio, Lesbo, Samo, Andro, Modone
e Cefalonia, ottenendo infine il ripristino dei privilegi precedenti; risalendo l’Adriatico risistemò infine i danni arrecati da Stefano II di Ungheria che aveva invaso parte della Dalmazia.
Stanco dopo tanti successi militari, abdicò per ritirarsi nel monastero di San Giorgio Maggiore, dove poco dopo finì i suoi giorni e fu sepolto nella chiesa in un monumento decorato con porfidi e marmi antichi.

MONUMENTO

Durante i lavori di ricostruzione della chiesa ad opera di Andrea Palladio, il monumento fu demolito e i benedettini, oltre a gettare le spoglie del doge, riutilizzarono i preziosi marmi policromi. Giambattista, erede dell’illustre casata dei Michiel, denunciò i monaci e nel 1635, dopo una lunga controversia, il Senato della Serenissima decretò la costruzione di un nuova tomba commemorativa, intimando i monaci ad erigerla entro sei mesi.
Il nuovo monumento, costruito su progetto attribuito a Baldassare Longhena, si trova nel vestibolo che precede il coro della basilica dietro l’altare maggiore. Sopra una base preceduta da una panca si innalzano due colonne di marmo bianco e nero con capitelli compositi. Sulla base è collocato il cassone con la lapide di marmo nero che riporta l’iscrizione, in forma ridotta, già esistente sull’antico monumento distrutto.  Al centro, sopra il sarcofago marmoreo classicheggiante, è collocato il busto del doge, opera dello scultore Battista Pagliari. 
Ai lati delle colonne, tra le paraste, sono collocati due rilievi in marmo di Carrara raffiguranti trionfi d’armi.

Nicolò Da Ponte, (Dogado 1578 - 1585)

ESTRATTO BIOGRAFICO

Amante degli studi, fu allievo dell’umanista Egnazio, seguì le lezioni di filosofia a Padova e nel 1514 conseguì il dottorato in medicina a Venezia. Già dal 1512 aveva incominciato la sua carriera politica, divenendo giovanissimo savio agli Ordini. Per vent’anni si dedicò, con grande successo, alla mercatura. Nel 1521 accettò, comunque, la cattedra di filosofia alla Scuola di Rialto.
Nel 1532 riprese la vita pubblica, fu capitano a Corfù, luogotenente generale in Friuli, riformatore dello Studio di Padova. [...]
i distinse nelle rappresentanze presso Francesco II, Carlo V e i papi Paolo III, Giulio III e Gregorio XIII, il quale dopo aver ascoltato le argomentazioni relative alla pace separata dei veneziani con il turco, lo definì «pacis angelus»; Pio V, invece, non lo volle come ambasciatore, memore dell’atteggiamento da lui tenuto anni prima al Concilio di Trento e di come avesse efficacemente difeso il vescovo di Bergamo, accusato di eresia proprio da Antonio Ghisleri, divenuto papa.
In politica estera mantenne la linea della neutralità, preferendo salvaguardare i rapporti commerciali con i turchi piuttosto che accettare proposte di alleanza da parte di russi e persiani. [...] morì ultranovantenne.

MONUMENTO

Nel 1582 il procuratore Marc’Antonio Barbaro fu incaricato dal doge Da Ponte di erigere il suo monumento funebre nella chiesa della Carità, demolita nel 1807 durante la seconda dominazione francese, e trasformata, assieme all’adiacente Scuola Grande della Carità, nella sede dell’Accademia di Belle arti creata su modello del Musée du Louvre di Parigi. 
Grazie a un’incisione di Dionisio Valesi, stampata verso la metà del Settecento, si conosce la composizione del monumento funebre progettato dall’architetto Vincenzo Scamozzi ispirandosi a modelli sansoviniani [...]. Si suppone che il monumento fosse costruito in pietra d’Istria e il sarcofago, collocato al centro sopra il cassone recante l’epitaffio, fosse in marmo grigio venato. Sull’arca poggiava il busto del doge, magnificamente modellato in terracotta da Alessandro Vittoria, unico elemento superstite dell’intero cenotafio assieme alla lastra lapidea con l’iscrizione (opere attualmente conservate presso il museo del Seminario Patriarcale di Venezia).
Nicolò Da Ponte fu uno dei pochi dogi della Serenissima ad ammirare il proprio monumento funebre prima della morte. I resti mortali riposavano nella tomba, posta sul pavimento davanti al monumento, chiusa da una lastra in marmo calcedonio, anch’essa scomparsa. È il primo caso di cenotafio dogale in cui la figura del doge fu ritratta a mezzo busto.

Francesco Erizzo (Dogado: 1631-1646)

ESTRATTO BIOGRAFICO

Imperversava la terribile peste scoppiata nel 1630 e, anche per questo motivo, gli elettori convennero al primo scrutinio sul nome di Francesco Erizzo, provveditore generale di Terraferma, di stanza a Vicenza. Per timore del contagio si evitarono festeggiamenti e relativo giro di piazza.
In precedenza aveva ricoperto, per una volta, la carica di  provveditore generale da Mar e, per ben quattro volte, quella di provveditore generale in Terraferma, impegnato nei principali conflitti della sua epoca, dalla guerra in Friuli con gli arciducali a quella della Valtellina.
I primi anni della sua reggenza, terminata l’epidemia che aveva falcidiato più di un quarto della popolazione, trascorsero seguendo la linea politica della non belligeranza, abbandonata nel 1642 allorché la Repubblica entrò nel conflitto per il ducato di Castro in aiuto di Odoardo, duca di Parma. Fatto ben più grave e preoccupante fu lo scoppio della lunga ed estenuante guerra di Candia, scatenata dall’accusa mossa dai turchi alla Repubblica, ma fu un pretesto, di connivenza con i cavalieri di Malta rifugiatisi nell’isola veneziana dopo aver attaccato un pacifico convoglio turco diretto alla Mecca. Iniziali sconfitte indussero la Signoria ad assegnare a Erizzo il comando supremo della flotta, ma questi poco dopo morì.
 

MONUMENTO

Il doge decise in vita di erigere il proprio cenotafio all’interno della chiesa di San Martino di Castello. Nel testamento del 1634, descrisse con precisione il posto destinato all’elevazione del suo mausoleo: "sulla parete destra del transetto, sopra la porta della facciata laterale, che si apre di fronte al palazzo degli Erizzo (luogo della sua nascita)" e menzionò anche l’architetto Matteo Scaramuzza.
Le sculture del monumento funebre furono eseguite da Mattia Carneri, scultore e architetto di origini trentine [...]. 
[...] Sopra l’architrave della porta poggia il cassone sul quale, su alcuni gradini marmorei, s’innalza la figura del doge, seduto sul
trono [...], in abiti da cerimonia, nell’atto di rivolgersi agli astanti. [...]. Sul fronte del cassone è incastonata una lastra di calcedonio, con l’epitaffio inciso a caratteri dorati. I resti mortali del doge Erizzo riposano nella tomba pavimentale al centro della chiesa, sotto una lastra in marmo nero contornata da una fascia di marmo giallo di Siena.
Il cuore del doge Erizzo è invece sepolto – come richiesto nelle sue ultime volontà – nel pavimento della cappella maggiore della basilica di San Marco, suo santo protettore, a lato del ciborio, sotto una piccola lastra di marmo bianco decorata con un cuore in marmo rosso di Verona, e con incastonati un corno ducale in marmo bianco e il profilo in marmo nero di un riccio, simbolo che richiama il nome della famiglia.

Ultimo aggiornamento: 20-12-2023