#Venezia1600. Dalla conquista della Terraferma alla svolta del 1509. Il lungo Cinquecento.

#Venezia1600. Dalla conquista della Terraferma alla svolta del 1509.  Il lungo Cinquecento.


Roma, novembre 1498. L’ambasciatore della Serenissima, Girolamo Donà, è a colloquio con Alessandro VI Borgia, papa e padre affettuoso di due frugoletti che rispondono al nome di Cesare e Lucrezia. Il Sommo Pontefice è in collera, protesta: Venezia non può arrogarsi il monopolio della navigazione nell’Adriatico, c’è anche la pontificia Ancona, insomma.  

Irridente, e al limite della provocazione, la replica del Donà: Ostendeat mihi Sanctitas Vestra instrumentum donationis… in italiano: Mi mostri, Santità, l’atto della donazione di Costantino, e vedrà che nel retro c’è scritto che l’Adriatico è di Venezia.

Come è noto, la leggenda diceva che il santo eremita Silvestro aveva guarito dalla lebbra l’imperatore Costantino, che per riconoscenza gli aveva donato metà dei suoi dominii, trasportando la capitale a Costantinopoli.  Senonché poi Silvestro era divenuto papa, per cui i suoi successori avevano ereditato l’Impero romano d’Occidente.  Ora, vero o falso che sia, lo scambio di battute fra l’ambasciatore e il pontefice esprime bene a quale grado di potenza fosse pervenuta la Repubblica fra lo scorcio del XV e gli inizi del XVI secolo.

Incalzata a Oriente dalla progressiva espansione turca, Venezia si era volta all’Occidente: dopo essersi annessa fra il 1404 e il 1420 il Veneto e il Friuli, con il doge Francesco Foscari si affaccia al di là della linea Mincio-Garda, guarda alla Lombardia. Fulminei gli esordi: nel 1427 il Carmagnola conquista Brescia e Bergamo. Ora, da Bergamo a Milano c’erano tre ore di cavallo, eppure questa cavalcata i veneziani non riusciranno a compierla. Per trent’anni il doge Foscari invia gli eserciti della Repubblica nelle pianure lombarde, inutilmente: riuscirà ad abbattere la dinastia, ma non il ducato; da allora, e fino al 1797, il confine tra Venezia e Milano si sarebbe fermato all’Adda.

Dopo di che, la caduta di Costantinopoli in mano turca (1453) e la conseguente pace di Lodi (1454) costringono i maggiori Stati italiani alla “politica dell’equilibrio”, anche se la Serenissima di tanto in tanto ne evade le clausole annettendosi il Polesine (1484), i porti pugliesi (1495) e Cremona (1499), infine Trieste e Fiume (1508), in seguito alla trionfale cavalcata in Cadore di Bartolomeo d’Alviano. 

Inebrianti allora per la Serenissima gli anni a cavallo tra il ‘4 e il ‘500: i suoi domini si estendono da Bergamo a Cipro, divenuta veneziana nel 1489, a compensare la perdita di Negroponte (l’Eubea), verificatasi quasi vent’anni prima.  Vediamo come andarono le cose.  

Con Cipro siamo geograficamente in Asia, ma l’isola fu sempre sentita come parte dell’Europa; un tempo era famosa non solo per il vino, ma per la produzione del cotone, del sale, del pepe, della canna da zucchero.

A metà ‘400 regna una dinastia francese, i Lusignano, giunti al tempo delle crociate. Ebbene, l’ultimo sovrano, Giovanni II, è indebitato fin sopra i capelli con la famiglia veneziana Corner, che a Cipro possiede vaste proprietà. Allora (siamo nel 1466) uno di costoro, Andrea, gli fa una proposta quasi indecente: maestà, gli dice, avanzo una cifra; facciamo così: ho una nipote, Caterina; tu la sposi e mi nomini tesoriere del regno, coi debiti facciamo patta perché è la sua dote, mica ti dò una delle serve che ti porti a letto.

Poteva Giacomo rifiutare? Non poteva e non lo fece; oltretutto Caterina era figlia di Marco e di Fiorenza Crispo, duchessa dell’Arcipelago e nipote di Giovanni IV Comneno imperatore di Trebisonda, sicché di sangue nobile ne aveva eccome.

Quando Caterina giunge a Cipro, Giacomo ha trentadue anni, lei diciotto; presto rimane incinta.  E’ felice, Caterina, in quell’isola che pare la valle dell’Eden; l’azzurro del cielo, la luce intensa del Mediterraneo, le foreste profumate di eucalipto e di mirto, le scogliere, le spiagge sul mare verde: i greci non avevano forse fatto nascere proprio lì la dea Venere?

Ma quei giorni finiscono presto; in una battuta di caccia, Giacomo riporta una brutta ferita e muore; trascorre qualche settimana e il 28 agosto 1473 Caterina partorisce un maschietto.  Morirà anche lui, appena un anno dopo. Dietro questi improvvisi, e alquanto misteriosi lutti, i contemporanei ci videro la mano di Andrea Corner. E’ possibile?  Certamente, anche perché c’era di mezzo la politica; da un pezzo Ferdinando d’Aragona, re di Napoli, guardava a Cipro, posta di fronte ai terminal siriaci delle spezie; e poi ecco il sultano d’Egitto e sai quanti altri: meglio sbarazzarsi di questi Lusignano. 

Gli anni passano e Caterina si adatta alla nuova vita; a Cipro, tappa obbligata per i pellegrini che si recano in Terrasanta, essa può accogliere nobili e principi, cavalieri del Santo Sepolcro, letterati greci italiani francesi; e così gli ospiti si alternano attorno a quella figura femminile che va lentamente invecchiando, ma, a quanto documenta un quadro di Tiziano, resta pur sempre bella.

Tiziano, Caterina Cornaro

Tiziano, Caterina Cornaro

Bella e sola, in grado di risposarsi e generare figli; il Consiglio dei Dieci non vorrebbe che passasse a nuove nozze. L’operazione scatta in pieno inverno, quando le flotte sono in disarmo; nel novembre 1488 una squadra fa rotta verso Cipro, a bordo dell’ammiraglia c’è Giorgio Corner, fratello di Caterina. Il suo compito è di convincerla ad abdicare; si va per le spicce, la regina dapprima rifiuta, ma Giorgio le spiega che, rinunciando al trono, avrà onori sovrani; in caso contrario, l’isola sarà comunque annessa ai dominii della Serenissima e per i Corner sarà la rovina.

E così Caterina si rassegna, ad accoglierla a Venezia c’è il doge con tutta la Signoria; essa avrà il feudo di Asolo, conservando il titolo di regina di Cipro. Qui, fra la pianura trevigiana e le colline, Caterina realizza una splendida corte rinascimentale, decorata dagli affreschi di Giorgione, dove il cardinale umanista Pietro Bembo ambienta gli Asolani, raffinato trattato sull’amor celeste e l’amor profano.

Ma il destino si accanisce contro questa donna: morirà il 10 luglio 1510 nel palazzo di suo fratello a Venezia, dove si è rifugiata perché ad Asolo sono giunti i tedeschi: è in corso infatti la guerra di Cambrai. A Venezia il suo ricordo permane in occasione della “Regata storica”, che si tiene la prima domenica di settembre; nella gondola che apre il corteo siedono accanto il doge e la regina Cornaro, per solito una bella fanciulla.

Rigogliosi per Venezia, si diceva, gli anni che accompagnano la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, segnati da una produzione culturale, artistica, architettonica che raggiunge livelli di assoluto prestigio: nell’anno 1500 Jacopo de’ Barbari delinea la famosa pianta della città, nel 1504 il Consiglio dei Dieci progetta il taglio dell’istmo di Suez, nel 1507 Giorgione affresca il nuovo Fondaco dei Tedeschi, ricostruito dopo un devastante incendio; a Venezia soggiornano o vivono letterati quali Luca Pacioli, Leonardo, Manuzio,  Erasmo da Rotterdam, Musuro, Egnazio, Sabellico, Aretino, Bembo, Marin Sanudo; operano pittori come Bellini, Carpaccio, Dürer, Lotto, Palma il Vecchio, Tiziano oltre al già ricordato Giorgione, seguiti, nel secondo Cinquecento da Tintoretto e Veronese;  architetti quali Codussi, Leopardi, i Lombardo, Scarpagnino, Sansovino (e più avanti Palladio); ingegneri come fra Giocondo e Sabbadino.

Una Venezia splendida e ricca, che nel 1516 ospita gli ebrei nel Ghetto e pompa l’economia del Mediterraneo.  Poi la svolta, drammatica, decisiva. A Cambrai, nel nord della Francia, il 10 dicembre 1508 si è infatti costituita una formidabile alleanza decisa a punire la superbia dello Stato marciano: ne fanno parte i francesi, e poi la Spagna, l’Impero, i Savoia, il papa, Mantova, Ferrara: è l’Europa intera che muove contro Venezia. 


 

Le lega di Cambrai
 

14 maggio 1509: due eserciti si fronteggiano sull’Adda; nella sponda occidentale ci sono i francesi, guidati dal re in persona, Luigi XII; dall’altra stanno le truppe della Repubblica, sotto il comando di Niccolò Orsini, duca di Pitigliano, e Bartolomeo d’Alviano, il coraggioso capitano che l’anno prima ha umiliato in Cadore l’imperatore Massimilano I.

Le incomprensioni fra il Pitigliano e l’Alviano determinano un ripiegamento che si trasforma in rotta disordinata: nel giro di pochi giorni la Terraferma è invasa, la nobiltà si schiera compatta con l’Impero da cui deriva i suoi titoli, solo Treviso rimane fedele alla Repubblica. 

Che però reagisce con uno scatto d’orgoglio: in fondo, l’esercito, l’erario, la flotta, i dominii da mar sono intatti; fortuna vuole che i turchi non investano la Dalmazia e le isole, anzi offrano aiuto, così come i contadini della Terraferma, che si schierano apertamente con la Serenissima: lo testimonia uno sbalordito Machiavelli, dagli umori notoriamente antiveneziani.  Quasi otto anni durerà la guerra, ma alla fine, nel 1517, lo Stato marciano riconquista gran parte dei territori perduti. 

Tuttavia non sarà più lo stesso, dovrà rinunciare per sempre all’iniziativa politica in Italia, rifondandosi come repubblica saggia prudente virtuosa, rispettosa dei propri come degli altrui diritti. Non affiderà più la sua difesa a eserciti in marcia, ma a truppe stanziali; nasce così la “macchina territoriale” imperniata a occidente sulle grandi fortificazioni di Peschiera, Verona, Legnago (nell’800 l’Austria ci aggiungerà Mantova, ed ecco il Quadrilatero), mentre sul fronte orientale sarà Palmanova ad assicurare il confine contro i turchi e gli imperiali.

Sul piano propagandistico Venezia riesce poi a elaborare un’immagine totalmente diversa da quella precedente: nasce così il mito della città libera, disponibile alla gioia di vivere, aperta alla cultura, che attira e ospita una produzione artistica di alta levatura, imperniata sui personaggi che si sono ricordati sopra; la città dove un Aretino può dire e scrivere ciò che altrove è proibito, dove Galileo imprime alla scienza un impulso decisivo, dove lo Studio di Padova diviene un faro di civiltà e progresso, alla cui libertas guardano studenti e intellettuali di tutta Europa. 

 

Giuseppe Gullino 
Già Ordinario di Storia moderna presso l'Università di Padova - Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arte.
Tra le sue opere La saga dei Foscari. Storia di un enigma (2005), l'Atlante della Repubblica Veneta 1790 (2009), Storia della Repubblica Veneta (2010). 

 

Redazione Cultura Veneto - Regione del Veneto 
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Data

03/05/2021