Gallerie dell'Accademia di Venezia

Venezia – Dorsoduro, Campo della Carità, 1050      

Fino agli anni Quaranta le Gallerie dell'Accademia rimasero sostanzialmente indifferenti all'arte contemporanea.
La prima acquisizione di opere recenti, infatti, avvenne solo nel 1932 grazie al lascito del pittore e incisore belga di gusto simbolista Armand de Rassenfosse (1863-1928), dal quale giunse un notevole dipinto del 1923, Donna in giallo, e una serie di disegni ed acqueforti. Nel 1939 un concorso accademico, il Premio Fadiga, per un momento parve riannodare gli antichi legami tra museo e Accademia di Belle Arti; ma tutto si esaurì, una tantum, nell'assegnazione alle Gallerie (che subito se ne disfecero depositandoli a Ca' Pesaro) dei tre quadri premiati (un Bergamini, un Sacchi e un Rambelli). Solo a partire dal 1941 ci si dedica ad una programmatica attività di acquisizione di opere d'arte contemporanea. Per impulso del ministro Giuseppe Bottai, che aveva istituito un apposito ufficio ministeriale, incaricato di erogare alle soprintendenze somme per gli acquisti, si volle ristabilire il dialogo tra mondo dei musei e mondo vivo dell'arte interrottosi nella seconda metà dell'Ottocento.
Anche Moschini, soprintendente a Venezia, si uniforma alle superiori disposizioni e, attraverso le "sindacali" e le collettive dell'Opera Bevilacqua La Masa o attraverso trattative dirette con gli artisti, acquista dipinti di Bruno Saetti, Riccardo con corazza e Ritratto della figlia Brunella, Virgilio Guidi, Donna in rosso e Marina, Carlo Dalla Zorza, Renato Birolli Porto bretone, Afro Basaldella, Natura morta, Marco Novati e di molti altri, tutti nomi rappresentativi della situazione pittorica veneziana, a tratti aperta al nuovo, a tratti ancora dominata dal mito della "scuola di Burano". Si acquistano allora anche poche ma importanti sculture: nel 1944 Arturo Martini fonde appositamente per le Gallerie il piccolo bronzo intitolato Donna al sole o Donna sulla sabbia, ora in deposito presso la Galleria d'Arte Moderna di Ca' Pesaro, e nello stesso periodo si compra da Francesco Messina la testa dello scrittore Massimo Lelj, sempre in bronzo che ora si trova alla Galleria Nazionale di Roma. Ancora a Ca' Pesaro sono una Giovinetta (busto in terracotta) di Guido Manarin e un bronzo di Giuseppe Romanelli. In realtà, nulla di quanto allora comprato era ab origine destinato alle Gallerie. Inoltre la Galleria di Ca' Pesaro aveva acquisito in quegli anni, in virtù di una convenzione col Ministero (1938), lo status di "alter ego" della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, essendo ad essa affidato il compito di documentare l'arte contemporanea straniera, oltre a quella della regione veneta. Gli acquisti di opere di artisti stranieri effettuati dal Ministero alla Biennale del 1940, per esempio, furono subito dati in deposito a Ca' Pesaro: si tratta di un dipinto del greco Rodocanachi e di sculture del tedesco Hans Wimmer e dello spagnolo Henrique Perez Comendador. Perfino durante gli ultimi tragici mesi della Repubblica di Salò si spende per acquisti (quadri di Pino Casarini, Neno Mori, Antonio Fasan) e se ne interessa personalmente il direttore generale, l'archeologo Carlo Anti. Nel dopoguerra, con la Soprintendenza pressata da tante esigenze di restauri e salvataggi, il ritmo delle acquisizioni rallenta.
Si attinge soprattutto dalle collettive della Bevilacqua La Masa ad opere di Giuseppe Santomaso, Rabesco, Emilio Vedova, due schizzi a carboncino, Saverio Barbaro, Testa di ragazza, Renato Borsato, Gino Morandis, Leone Minassian. La collezione, che conta una ventina di pezzi, documenta a modo suo una situazione storica dell'arte a Venezia incerta fra tradizione e rivoluzione.
Alla metà degli anni Cinquanta cessano i finanziamenti ministeriali e il processo di acquisizione e aggiornamento (sia pure di vedute non ampie e non sempre sorretto dalla fortuna) cessa completamente.

Bibliografia:
Nessuna bibliografia di riferimento.

Ultimo aggiornamento: 04-03-2024