Clitennestra

Clitennestra è il prototipo dell’infamia femminile: crudele, violenta, adultera e assassina, è l’incarnazione del male e delle scelte scellerate.

Per i Greci è una kynopis, faccia di cagna, un vero e proprio mostro. Uccide il marito Agamennone e la sua amante, la schiava Cassandra, a colpi di scure.

Ma anche di un’altra storia racconterà Anna Zago in scena, fatta di soprusi, attese e tradimenti che la narrazione del mito ha spesso censurato.

È la storia di questa Clitennestra, non tanto diversa dai numerosi casi di donne criminali dei nostri giorni, offre lo spunto a importanti riflessioni sulla natura del diritto e della giustizia, come improvvisa rivelazione della durezza della vita.

La complessità e la modernità del personaggio sono innegabili: la sua inquietudine, la sua sete d’indipendenza, la sua determinazione, la sua tragicità.

Clitennestra ha tradito, ma è statatradita, ha ucciso il marito, che aveva ucciso e scarificato agli dei la loro figlia Ifigenia. E l’urlo di dolore, la solitudine sofferta, l’infinito desiderio di vendetta, ci sono tutti nel potente monologo. Il verdetto è già scritto: niente redenzione, Clitennestra è una donna non rieducabile. Ma forse, questo nuovo tribunale potrebbe giudicarla diversamente.

Emarginata e confinata dal mito nel girone infernale dei colpevoli e dei reietti, Clitennestra nell’edizione di Anna Zago, rovescia questo gioco, sfrutta la nostra necessità di sentir perdonate le nostre colpe attraverso lo specchio oscuro delle sue, per spiegarci cosa l’ha condotta dentro la gabbia dell’onta e del disprezzo.


Dettagli

Date

Il: 25/03/2023

Ora

Sabato: 20:45

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Teatro Comunale

Comune

Belluno

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BL

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Teatro Comunale di Belluno

Nel "Dizionario storico-artistico-letterario bellunese" edito nel 1843, Florio Miari ci dà, pochi anni dopo la sua edificazione, un'esauriente descrizione del nuovo Teatro Sociale di Belluno, considerato la prima opera importante dell'architetto feltrino Giuseppe Segusini. La costruzione del nuovo teatro fu determinata dalla demolizione del Palazzo del Consiglio dei Nobili, detto della "Caminada", nella cui grande stanza del piano superiore, originariamente deposito delle armi cittadine, poi trasferite al Castello, si erano svolti, fin dal '500, tutti gli intrattenimenti teatrali. La scomparsa di questo luogo deputato alle rappresentazioni, e l'evidente necessità di soddisfare la diffusa e crescente domanda di uno spazio sociale ad esse idoneo, accomunarono, sia l'organo pubblico della città che la "Società del Teatro", composta dai proprietari dei palchetti del "Teatro della Caminada", nella volontà di realizzare una struttura adeguata. Il 12 giugno 1833, ebbero inizio i lavori nel luogo in cui sorgeva il vecchio "Fontico delle Biade" (il più importante magazzino della città, istituito già nel lontano 1426) e finalmente il 26 settembre 1835 il Teatro Sociale di Belluno fu inaugurato, con la messinscena di due opere serie, "la Norma" ed "I Capuleti e i Montecchi" di Vincenzo Bellini. Il manufatto – che, nel corso del tempo, ha subito diversi interventi di restauro interno compreso quello del 1949 anno in cui assunse l'attuale denominazione di Teatro Comunale di Belluno e anno in cui furono eliminati i quattro ordini di palchetti a favore delle due odierne gallerie - conserva ancor oggi all'esterno la sua veste pressoché originale. Di stile neoclassico, la facciata presenta quattro poderose colonne corinzie; alla base è situata la comoda e breve gradinata affiancata da due blocchi in pietra sormontati da due leoni scolpiti da Pietro Zandomeneghi figlio, i quali secondo il Miari rappresentano la Commedia e l'Opera, mentre secondo il De Bortoli la Poesia e la Musica, e infatti l'uno tiene tra le zampe anteriori una maschera e l'altro una cetra. Sempre allo stesso scultore sono riferibili i bassorilievi dell'atrio raffiguranti Orfeo e Prometeo, secondo il Miari, Orfeo ed Euridice, secondo il De Bortoli. Quale richiamo alla classicità dell'opera, quattro statue, recentemente attribuite a Giacomo Cassetti, e rappresentanti Adone, Onfale, Ercole e Diana, adornano l'attico superiore. La facciata e le pareti esterne presentano una serie di nicchie nelle quali sono collocate i busti in bronzo e in marmo che il Miari ritiene recuperati dal Palazzo del Consiglio dei Nobili. Alla data della sua inaugurazione il Teatro Sociale risultava, all'interno, arricchito dal sipario eseguito da Sebastiano Santi, e dalle decorazioni per le scene e i palchetti di Francesco Bagnara. Queste ultime, recentemente restaurate, sono state riconsegnate al Teatro da alcune associazioni (Tib Teatro, Soroptimist Club e Inner Will) che hanno aderito alla campagna di adozione degli affreschi stessi promossa nel 2008 dalla Fondazione Teatri delle Dolomiti, ente gestore del teatro. (...)