Museo Civico Luigi Bailo di Treviso - Collezione di vetri antichi

La collezione trevisana è composta da pezzi di provenienza adriese riconducibili alla collezione Bocchi e da vetri provenienti per lo più dal territorio della Marca, in particolare dai centri di Oderzo e Montebelluna.

I materiali sono quasi sempre privi di dati sulle modalità di rinvenimento: si tratta essenzialmente di rinvenimenti effettuati durante di scavi condotti in maniera non scientifica nel corso della seconda metà dell'Ottocento o forse, come nel caso della collezione Bocchi, addirittura nel corso del XIX secolo. Anche i materiali di più recente acquisizione non offrono particolari informazioni sul loro contesto originario, costituendo per lo più dei ritrovamenti fortuiti.

LE TAPPE PRINCIPALI:

Il primo nucleo di materiali attorno al quale venne costituito il Museo Trevisano comprendeva già dal 1879 anche una raccolta di vetri, tutti provenienti dalla zona di Adria, che appartenevano all'eredità del Canonico G.A. Bocchi (Adria 1697 - Treviso 1770). Essi vennero posti nella sala della Biblioteca in una teca che, come racconta il Bailo, era inizialmente per tre quarti vuota. Dai documenti custoditi nell'archivio risulta che tale raccolta fosse costituita per lo più da balsamari, diciannove, e da tre olle di cui una corredata di coperchio.

Negli anni seguenti, le acquisizioni del Museo furono così numerose da suggerire un'opera di ampliamento e questo accrescimento di materiali influì anche sulla raccolta dei vetri antichi. In particolare, nel 1882 venne acquistata la Collezione Tessari comprendente materiali preromani e romani di grande interesse provenienti da scavi effettuati a Montebelluna. Gli interventi erano stato condotti senza criteri di scientificità e i materiali, seppur interessanti, erano stati consegnati al Museo mescolati tra loro senza alcun riguardo per il contesto originario. L'inventario stilato negli anni Cinquanta attesta la presenza di 20 vetri facenti parte della collezione Tessari acquistata nel 1882, per lo più balsamari.

Altri reperti vitrei giunsero in quegli anni a Treviso da Montebelluna, prima in occasione di alcuni scavi effettuati a Cogolo e, nel 1891, da altri scavi realizzati nella tenuta Cal Larga.

La figura del Bailo spicca come punto di riferimento per chi si occupa, direttamente o anche solo occasionalmente, di archeologia nel trevigiano. Si conserva negli archivi del Museo Trevigiano una nota del 1899 a firma Alessandro Saccardo che narra con notevole precisione il ritrovamento di una tomba romana nelle vicinanze di Montebelluna: la notizia ci interessa da vicino perché la tomba conteneva un corredo che annoverava, tra le altre cose, anche alcuni oggetti vitrei andati purtroppo perduti. La tomba venne scoperta a Montebelluna, in loc. Colmello di Guarda, ad un metro circa di profondità, ai margini della strada che la collega a Treviso in prossimità di un'osteria detta "del Gatto". Saccardo descrive il corredo e traccia uno schizzo della tomba in sezione: l'urna in pietra doveva contenere almeno cinque vetri.

Dallo schizzo si riconoscono due brocche dall'orlo trilobato, varianti della forma Isings 56, due balsamari ed una coppa costolata.

I due balsamari (di forma presumibilmente Isings 6 e 8) si differenziavano anche per il colore del loro contenuto (rosso per uno, blu per l'altro); purtroppo essi vennero lavati e il contenuto è andato così perduto.

Saccardo dice che la coppa costolata, in vetro bianco e blu (di presumibile forma Isings 3c), era coperta da uno specchio metallico di cui poté vedere due frammenti. Completavano il corredo due monete romane e "una specie di coperchio di terracotta che faceva da base alla coppa costolata".

Ulteriori elementi di interesse emersero ad una più approfondita analisi: l'urna, di argilla biancastra e di forma cilindrica, superiormente era sigillata da un coperchio nel cui interno Saccardo credette di individuare l'immagine di una mano sulla quale erano leggibili le lettere MPS.

Anche da Oderzo giunsero al Bailo altri vetri, in particolare dopo gli scavi effettuati nel corso del 1884. Rispetto ai materiali provenienti da Montebelluna, questo gruppo è inferiore per numero e per stato dei reperti, per lo più frammenti, ma appare più vario per tipologie presenti: spicca, in particolare, un frammento di vetro ambrato di coppa costolata di forma Isings 3C. Altri frammenti, sempre provenienti da Oderzo, furono donati dal senatore Revedin.

Tra gli ultimi decenni del XIX e i primi del XX secolo, il Bailo, con la sua instancabile attività di monitoraggio del territorio, continuò ad accrescere la collezione, ma si trattava per lo più di vetri di minore rilevanza, legati a piccoli scavi occasionali o ritrovamenti fortuiti. L'unica eccezione a questa tendenza è costituita dai materiali del Legato Scarpa che, assieme ai tre nuclei di materiali adriesi, opitergini e montebellunesi, costituiscono tuttora la parte più cospicua della raccolta di vetri trevigiana.

Il legato Ettore Scarpa nel 1929 contribuì ad arricchire il Museo di un consistente ed eterogeneo gruppo di opere d'arte e reperti archeologici, tra i quali, per l'appunto, alcuni vetri romani in parte di provenienza ignota, per lo più balsamari, in parte provenienti da una tomba romana rinvenuta nel 1872 a Silea, in loc. Sant'Elena di Melma. Secondo gli inventari del legato, il corredo della tomba di Silea era composto da un'olla vitrea, una navicella (inv. n. 908) (che costituisce l'elemento più prestigioso della collezione trevigiana e, sicuramente, uno dei più interessanti tra quelli custoditi nei musei della nostra Regione), un balsamario verde azzurro (forse inv. n. 920), una moneta (inv. n. 909) ed un anello (inv. n. 149).

Il riscontro con i pochi pezzi analoghi alla navicella, il confronto tipologico per l'olla ed il balsamario suggerirebbero per questa tomba una datazione alla metà del I secolo d.C.

Luigi Bailo morì nel 1932. Circa una dozzina di anni dopo, nel corso del secondo conflitto mondiale, il 7 aprile 1944 un bombardamento alleato colpì duramente Treviso. Tra le ferite inferte alla città si annoverano anche i gravi danni subiti dal Museo Civico: la collezione di vetri subì danni quasi irreversibili. Nel dopoguerra si rese necessario un grande lavoro di ricupero e riscontro delle collezioni ed una nuova risistemazione. In quest'ambito anche i vetri antichi ebbero una nuova inventariazione e sistemazione. Nel frattempo proseguì anche l'afflusso di materiali, sia pure in quantità e di qualità non particolarmente rilevanti, fatta eccezione per il bel cantharos (cat. n. inv. n. 947) rinvenuto nel 1946 a Fanzolo di Vedelago ed acquistato nel 1950 che costituisce anche l'ultima rilevante acquisizione di vetri romani da parte del Museo.

Dal punto di vista tipologico, le forme documentate nel trevigiano non sono particolarmente numerose. Oltre ai soliti numerosi balsamari a ventre sferoidale, tubolare e troncoconico normalmente attestati nelle altre raccolte esaminate dal Corpus, sono presenti anche un buon numero di olle che costituisce il gruppo numericamente più rilevante dopo quello dei balsamari: ne sono presenti sette, per lo più di forma Isings 67a; sono attestati anche singoli pezzi di forma Isings 64, con labbro ribattuto internamente, Isings 65 ed anche un'olla riconducibile al gruppo Ab della Calvi.

Tra le coppe spiccano una Zarte Rippenschale integra proveniente da Montebelluna e un frammento di coppa costolata di forma Isings 3c da Oderzo.

Una sola bottiglia, peraltro solo parzialmente ricostruita, è di forma Isings 50a mentre i due esemplari di maggior interesse custoditi nella collezione trevisana sono il kantharos, di probabile fabbricazione aquileiese, rinvenuto a Vedelago, e la splendida navicella di Sant'Elena di Melma.

CRONOLOGIA:

Per quanto concerne la cronologia, gli esemplari più antichi dovrebbero essere i frammenti di coppa costolata di forma Isings 3c (cat. n. ) e di coppa a nastri policromi (cat. nn. ), databili tra la fine del I secolo a.C. ed i primi decenni di quello successivo.

Numerose le attestazioni di vetri della prima metà del I secolo d.C., in primis i balsamari di forma Isings 6 e 8; alla stessa epoca sono riconducibili la Zarte Rippenschale ed il corredo della tomba di Sant'Elena di Melma cui appartiene la navicella. Anche l'esemplare di kantharos, di possibile provenienza aquileiese, dovrebbe essere coevo alla tomba di Sant'Elena o leggermente più tardo, ma comunque databile al I secolo d.C..

Le olle sono genericamente databili al I-II secolo d.C. ad eccezione delle due per le quali si ha qualche informazione circa l'originario corredo di appartenenza: oltre alla già citata olla da Sant'Elena, anche la olla rinvenuta a Roncade potrebbe essere datata al I secolo d.C. grazie alla tipologia del balsamario associato. Di fine I - inizio II secolo d.C. sono i balsamari troncoconici.

Nel complesso, la maggior parte dei materiali esaminati appartiene ai primi secoli dell'Impero, in particolare al I secolo d.C.; la loro eterogeneità e la mancanza di forme peculiari costituiscono un forte indizio che permette di escludere la presenza di un importante centro di produzione locale.

La relativa vicinanza ad Aquileia può anzi far pensare che alcuni esemplari, per esempio tra le coppe quelle costolata, a nastri policromi e la Zarte Rippenschale, numerosi balsamari ed il kantharos, siano provenienti proprio da quel centro vetrario.

Tra le olle, la prevalenza numerica della forma Isings 67a costituisce un'ulteriore conferma di una tendenza già registrata nel territorio della nostra regione mentre le rimanenti presentano delle analogie con forme che, al momento, parrebbero diffuse in un'area più ristretta, posta tra il territorio adriese ad Aquileia.

Ultimo aggiornamento: 12-03-2024